"Uno schiavo che non ha coscienza di essere schiavo e che non fa nulla per liberarsi, è veramente uno schiavo. Ma uno schiavo che ha coscienza di essere schiavo e che lotta per liberarsi già non è più uno schiavo, ma uomo libero" - LENIN

A SETTANTANNI DALL' ASSASSINIO DI LEON TROTSKY

22 Agosto 2012

Il 21 agosto 1940 moriva il grande rivoluzionario, compagno di Lenin nell’ “assalto al cielo”
del 1917 in Russia, fondatore dell’Armata Rossa e della Quarta internazionale; vittima di un sicario del “più grande assassino di comunisti della storia”, Giuseppe Stalin.

Riproduciamo qui di seguito l’intervento che ha svolto il compagno Franco Grisolia all’iniziativa in ricordo di Trotsky svoltasi a Carrara il 6 agosto Settanta anni fa, il 20 agosto del 1940, l’agente stalinista Ramon Mercader, infiltratosi con l’inganno nella casa messicana di Trosky, colpiva a morte il grande rivoluzionario, il compagno di Lenin nella direzione della rivoluzione russa, il fondatore dell’Armata Rossa, il dirigente della Internazionale comunista alle sue origini, il principale teorico e leader della neonata IV Internazionale.

Trotsky sarebbe spirato il giorno dopo.

Pochi mesi prima le truppe tedesche avevano travolto la Francia, l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo, portando anche qui ad un dominio fascista ormai quasi generale in tutta l’Europa continentale; con l’eccezione dell’URSS, dominata da una burocrazia stalinista che aveva realizzato un’alleanza di fatto con la Germania nazista attraverso il patto Hitler-Stalin, che aveva dato il via libera alla guerra.

Questo dopo aver massacrato nelle “purghe” degli ultimi anni ’30 intere generazioni di dirigenti e militanti comunisti, in URSS ( ma anche in altri paesi si pensi alla Spagna della guerra civile contro il franchismo ), di tutte le nazionalità dello stato sovietico o rifugiati nel “paese del socialismo”.
Era veramente, come si è detto, “la mezzanotte del secolo”. L’assassinio di Trotsky, come si è sempre saputo e come è ormai conosciuto anche nei dettagli, era stato deciso direttamente da Stalin ed organizzato con la supervisione del suo fido compare Beria.
Giocava naturalmente in questa scelta l’odio del dittatore rinnegato contro il suo grande avversario, ma c’era qualcosa di più.
Era la paura del ruolo che Leone Trotsky avrebbe potuto giocare, alla testa della IV Internazionale, sul piano internazionale e, in particolare, in riferimento all’URSS.
Perché infatti, nonostante il massacro dei militanti comunisti ( anche quelli che non si erano schierati con Trotsky e con gli altri oppositori negli anni ’20 o nei primi anni ’30 ) la burocrazia stalinista, e Stalin al suo vertice, temeva la possibilità che,malgrado tutto, nel quadro della nuova situazione mondiale, Trotsky potesse rappresentare il punto di riferimento per una ribellione contro il suo dominio totalitario.
Pochi mesi dopo l’assassinio di Trotsky, Molotov e Ribbentrop, che erano stati i firmatari materiali del Patto di fine agosto ’39 ( che permise tra l’altro la suddivisione fraterna tra stalinismo e nazismo della Polonia con incontri, abbracci e scambi tra i due eserciti sulla frontiera determinata dagli accordi ), si incontrarono a Berlino per delimitare un’ipotesi di zone d’influenza ulteriori nell’Est Europa.

Non trovarono l’accordo e fu uno degli elementi ( non l’unico, perché solo un cieco, come Stalin, poteva non vedere che la spinta del nazismo era in ogni modo, presto o tardi, alla guerra contro l’Unione Sovietica ) che determinarono le decisioni temporali dell’attacco nazista, che avvenne nel giugno 1941.

Molotov e Ribbentropp non riuscirono a trovarsi d’accordo su questioni come il petrolio della Romania o cose del genere.
Questo basta a delineare la natura politica e morale della burocrazia stalinista. In riferimento a questo, spesso i difensori ( anche quelli “critici” ) della storia del movimento operaio quale è stata scritta dalla sua “maggioranza”, ci parlano del “fine che giustifica i mezzi” e affermano che, del resto, questo è un principio del leninismo, del comunismo: se il fine è buono si può fare ogni cosa.

Trotsky aveva risposto preventivamente a queste affermazioni in un libro, che oggi viene criticato come amorale da tanti benpensanti piccolo-borghesi compresi dei revisionisti del trotskismo, e che fu ripubblicata nel nostro paese alcuni anni fa con la prefazione di Marco Ferrando .

Si tratta di La loro morale e la nostra.

Io credo che sia importante citare quanto afferma Trotsky, perché esprime un concetto di metodo che valse per lui e credo debba sempre valere per i rivoluzionari tutti, in termini di morale e in termini di azione politica.

Dice dunque Trotsky ne La loro morale e la nostra
“Il materialismo dialettico non tiene separato il fine dai mezzi, il fine viene dedotto, in tutta naturalezza, dal divenire storico, i mezzi sono organicamente subordinati ai fini. Il fine immediato diventa il mezzo del fine ulteriore[…]"

Ferdinand Lassalle fa dire, nel dramma Franz von Sickinger, a uno dei personaggi:
“Non mostrare solo la meta, mostra altresì il cammino/ giacchè la meta e il cammino sono talmente uniti/ che l’uno cambia con l’altro e si muove con lui/ e che un nuovo cammino rivela un’altra meta”.
Questo concetto, che poi si traduce nella formula della “interdipendenza dialettica del fine e dei mezzi”, è un concetto fondamentale di politica e di etica rivoluzionaria.

Non l’ipocrisia è buona per il nostro fine, ma dal nostro fine devono essere determinate le vie che politicamente noi scegliamo per la nostra battaglia politica.
Chi distingue queste due cose, oppure parla di un fine lontano e dice
“Però oggi quella via dritta non è possibile, bisogna prendere un’altra strada, poi un giorno ci torneremo”, in realtà dimostra non di volere quel fine ma, indicando un’altra via, di essere su un altro terreno.

Diversi si richiamano al comunismo o al socialismo, ma, nei fatti, con il cammino che intraprendono giorno per giorno, dimostrano che il loro fine non è quello che affermato.

Del resto prima del testo di Trotsky, e contemporaneamente a lui, a Lenin e ad altri ( uniti prima del 1914 in una battaglia internazionale nella II° Internazionale ) lo scriveva Rosa Luxemburg, affermando che, rispetto al gradualismo pacifista dei riformisti della socialdemocrazia, non c’era solo una differenza di metodo, c’era anche una differenza di fine; e che, negando il problema della rivoluzione e della violenza rivoluzionaria di massa, i riformisti negavano non un metodo, sostituendolo con un altro più o meno valido, ma che negavano in realtà, e sempre di più, il suo fine, cioè il socialismo.

Ritornando al momento storico dell’uccisione di Trotsky si videro le conseguenze di questo “fine che giustifica i mezzi” da parte dello stalinismo con l’aggressione hitleriana nel giugno del ’41; con le truppe naziste che arrivarono a meno di 100 km da Mosca; con un esercito impreparato a causa dei massacri del gruppo dirigente, con l’eliminazione del geniale maresciallo Tukacevsky e della grande maggioranza dei comandanti dell’esercito.

Colpevoli in molti, ma non tutti, di aver magari votato con Trotsky nel lontano 1923.
Ciò che costituiva un pericolo, perché potevano pensare che, in definitiva, il loro ruolo avrebbe dovuto essere, a un certo punto, quello di liberare dal dominio totalitario di Stalin e della burocrazia l’Unione Sovietica.

Come livello aneddotico ma significativo: dagli ormai aperti archivi sovietici si vede quanto può la stupidità burocratica.

Nelle prime ore dell’attacco all’Unione Sovietica i generali del comando in capo di Stalin continuavano, su suo ordine, a ordinare alle truppe sovietiche di non reagire perché avrebbe potuto trattarsi di una provocazione dei militari tedeschi contro Hitler per… spingerlo alla guerra contro l’Unione Sovietica.

Questo oggi è chiaro, documentato, e dimostra l’ironia tragica per cui è passato alla storia come grande vincitore del nazismo ( sulla base di decine di milioni di morti sacrificati per la difesa dell’Unione Sovietica ) il “grande leader” che preparò le condizioni per una quasi vittoria del nazismo; che solo la grande forza del popolo russo, dei lavoratori, dei combattenti, cioè di chi ancora restava legato alla sua patria socialista e alle sue conquiste, permise di bloccare.

Trotsky - a differenza di tutti i burocrati, i carrieristi, i frazionisti ,nel senso vero, di tutte le specie- fu, tutta la sua vita, conseguente con una frase contenuta nella sua autobiografia ( del 1929 ) La mia vita.

Credo che sia molto bella e che dia il senso dell’impegno che dev’essere proprio di tutti i marxisti rivoluzionari.
Essa dice: “Mi sono abituato a non considerare la prospettiva storica dal punto di vista del mio destino personale. Comprendere la sequenza causale degli avvenimenti e trovare il proprio posto in questa sequenza è il primo dovere di un rivoluzionario e contemporaneamente è la massima soddisfazione possibile per un uomo che non limiti i propri compiti alle esigenze quotidiane”.

Questo è il senso della soddisfazione della vita che si sceglie con la militanza rivoluzionaria.
Trotsky espresse nella propria scelta di vita il riferimento a una volontà cosciente di non subire la storia, ma di intervenire in essa,da ateo materialista, realizzando appieno le proprie potenzialità di essere umano.
Credo che questa sia la lezione grande, drammatica, bella, della vita di Trotsky. Ciò a partire dalla sua gioventù rivoluzionaria, che lo portò rapidamente a conoscere il carcere.
Perché ha 19 anni, nel 1898, quando viene scoperto dalla polizia il piccolo gruppo clandestino, prima socialista rivoluzionario“populista” poi marxista, in cui milita.
Quindi appunto il carcere, la Siberia, la fuga dalla Siberia, la grande arena del socialismo internazionale, fin dall’inizio, com’era per tutti i militanti socialisti allora.

Può essere interessante, scevri da ogni nazionalismo sia ben chiaro, ricordare che Trotsky ci dice che l’autore che lo spinse dal “populismo” ( nome che aveva in Russia il movimento variegato di socialisti rivoluzionari che volevano “andare verso il popolo”, in particolare i contadini ) al marxismo fu il filosofo marxista italiano Antonio Labriola.
Quindi lo studio della dialettica, la acquisizione del materialismo dialettico come elemento centrale della comprensione del mondo, della natura, dell’azione politica.
E ha un certo significato, credo, che l’inizio della vita politica di Trotsky sia un po’ incerto, perché inizia col populismo.

Ciò che succede per molti, in termini odierni, col movimentismo, anche se non è esattamente la stessa cosa; poi c’è la comprensione che la politica rivoluzionaria è altra cosa, non è semplicemente dire no e cercare di partecipare a un movimento, o, parlando di allora, “andare verso il popolo”, o, come per esempio i giovani di Lotta Continua 40 anni fa “andare verso i proletari”; ma è costruire un’analisi scientificamente corretta della realtà e dello scontro sociale e politico, individuando su questa base un programma una strategia ferma ed una tattica flessibile, ma sempre derivante da programma e strategia.

Per Trotsky questo salto di qualità parte dalla comprensione del materialismo dialettico, e non casualmente la sua vita si chiude politicamente con una battaglia sul materialismo dialettico, a partire da un problema concreto: la difesa dell’Unione Sovietica.

da trotskysmo.blogspot.it/ del 7 dicembre 2010

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

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